Il Marsala, da Lilibeo all’Inghilterra

 La storia del vino Marsala, che deve il suo nome alla cittadina punica Lilibeo, ribattezzata poi dagli arabi Marsala, ha origini tutte inglesi, grazie a un personaggio d’oltremanica, John Woodhouse, figlio di un mercante di Liverpool sbarcato in Sicilia nel 1773, quando l’isola non era ancora sotto l’influenza inglese. La famiglia Woodhouse, interessata all’esportazione dalla Sicilia dei migliori prodotti mediterranei, creò il mercato di un vino che in madrepatria iniziava a fare assai gola. Alla fine del diciottesimo secolo il marsala iniziava a batter fama non solo fra i mercanti e i produttori, ma anche nelle cerchie dell’esercito inglese, inviato nel Mediterraneo nel bel mezzo del conflitto antinapoleonico. Nel 1798, a seguito dell’avanzata francese, giunge in prossimità delle nostre coste anche la corte borbonica, grande estimatrice del neonato Marsala. A quel tempo il vino siciliano non aveva una particolare connotazione di genere e qualità e gli unici vini conosciuti erano il Moscato di Siracusa e la Malvasia delle Eolie. Ma John non fu solo uno spedizioniere e si cimentò nella sperimentazione dell’aggiunta di alcool ai fini del trasporto oltremare. Egli spedì nel 1774 dal porto di Trapani, e verso la madrepatria, 60 botti, ovvero pippe, della capacità di 420 litri, a cui aggiunse 9 litri d’alcool per ognuna, determinando così la formula base del Marsala: 2% di alcool per pippa. Ma fu il contratto stipulato con Lord Nelson il 19 marzo 1800 per la vendita di 500 pippe di Marsala, a testimoniare l’indiscusso monopolio dei Woodhouse nel mercato europeo e a incrementarne l’esportazione. Così da un anonimo prodotto si passo all’elaborazione sempre più sapiente ed accurata di un vino che potesse competere con quelli spagnoli e portoghesi. La commercializzazione avvenne gradualmente grazie agli interventi proposti ed attuati dagli inglesi. All’aumentare della domanda crebbe l’esigenza di innovare l’intero ciclo di produzione agroindustriale, coinvolgendo soprattutto i coltivatori e viticultori locali. Erano tre le principali qualità di vino Marsala: Inghilterra, quotato a 375 lire per pippa, Vergine e Italia quotati a 325. Le differenze essenziali riguardavano soprattutto la percentuale di alcool, ma anche gli anni di invecchiamento e la quantità di zucchero. Ma ciò che accomunava i Marsala delle numerose fattorie produttrici erano i componenti utilizzati: mosto cotto e sifone, e i criteri e le tecniche di vinificazione. Una parte del mosto, ottenuto tramite l’antico metodo del pestimbotta, ovvero della pigiatura delle uve nei palmenti, veniva versato in grandi caldaie di rame e cotto finché l’intera massa non si riduceva a un terzo del volume iniziale. Un’altra parte di mosto ad elevato contenuto zuccherino, invece, veniva versato immediatamente in botti contenenti già alcool. Le successive aggiunte, le solforazioni, la gessatura, i tagli, la concia, i travasi e l’invecchiamento divennero tecnica enologica sempre più raffinata. Cosicché, ancora oggi, non vi è straniero che passando per Marsala non voglia visitare gli antichi bagli di lavorazione degli Inglesi.

Elena Beninati

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Don Leo

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